CHE GIOIA
Riapre il ristorante - simbolo della Val Curone
Ci sono dei luoghi che diventano automaticamente simboli di una intera storia. Uno di questo è senz'altro La Gioia di Caldirola, un posto che è stato via via albergo - ristorante - centro di sci - luogo di raduni sportivi - residence e che ancora oggi rappresenta un po' il simbolo dell'intera Val Curone. Questo luogo-simbolo è sorto dal nulla grazie alla "visione" di un uomo semplice, nato a Caldirola proprio nell'anno di inizio secolo scorso. Ad Agostino Raffo era toccata una famiglia contadina, la terza elementare e un umano destino che sembrava conchiuso in questo posto dimentica da Dio. Per giunta a 17 anni gli toccò anche la Prima Guerra Mondiale.
La Gioia in una foto scattata a fine anni tretanta
Tornato da quella esperienza, Agostino apparve cambiato. A un certo punto, negli anni '29-30 si mise a barattare i suoi terreni di famiglia, vicini a casa, scambiandoli con i prati sassosi della spianata della Gioia. "Augustin è matto", sentenziarono i paesani che non potevano certo capire il suo progetto. Agostino invece aveva sognato che lassù in alto, sopra il vecchio paese medievale, poteva nascere qualcosa di nuovo, e di bello per sfruttare l'unica risorsa disponibile: il panorama. Ma mancava una premessa essenziale: una via d'accesso. La strada provinciale (ancora senza asfalto, quello sarebbe arrivato dopo la guerra) portava soltanto fino a Garadassi. Da lì in avanti i pochi villeggianti-pionieri genovesi e tortonesi che ogni anno si arrampicavano coraggiosamente fin quassù per uno o due mesi di riposo dovevano servirsi dei muli o al massimo di qualche calesse "fuoristrada" su cui caricavano i leggendari bauli.
Agostino Raffo
Non erano anni facili per spremere finanziamenti dallo Stato. Così Agostino col suo carisma convinse tutto il paese che era meglio rimboccarsi le maniche e costruirsi da soli quella benedetta strada: al mattino la campana suonava per dare il segnale di inizio-lavori e tutti si mettevano a scavare e a scariolare. Non c'era da lottare soltanto contro le rocce ma anche contro quei testardi di Montecaprano che si sentivano minacciati da tutte queste "novità" dei caldirolesi e per bloccarli ne fecero di tutti i colori: chiamavano i carabinieri di San Sebastiano, si sdraiavano sul terreno pur di bloccare i lavori della strada. La madre di Agostino, una donna leggendaria che ha contato molto in questa storia, insegnava ai suoi a scavare attorno al corpo dei "resistenti" passivi senza dagli la scusa di reagire. La materia del contendere era semplice: Montecaprano si considerava più importante della sperduta Caldirola e pretendeva che la strada andasse prima a Montecaprano e poi, caso mai, lassù… Da qui lotte a non finire. Il capo degli oppositori di Montecaprano era il loro parroco, don Fascetto, così ostinato che si dice abbia disdetto l'abbonamento al Popolo di Tortona perché avevano osato pubblicare una pubblicità su Caldirola. Cose d'altri tempi.
Intanto Agostino aveva cominciato ad aprire giù in paese, nella grande casa di famiglia, un negozietto e un piccolo albergo alla buona, senza tanto lussi. Sulla spinata sassosa in alto si mise invece a costruire un albergo come non si era mai visto in tutta la valle, ma forse nemmeno a Tortona. Era lui stesso a decidere come tirarlo su, seguendo la tecnica montanara che conosceva meglio di qualsiasi diplomato. Nel 1934 La Gioia fu inaugurata fra l'incredulità dei presenti: e lì accanto sorgeva già il primo campo da tennis della provincia di Alessandria, quando a tennis giocavano soltanto i "siùri" in pantaloni bianchi lunghi.
La posa in opera della prima pietra de la Gioia nel 1929
Subito accanto all'albergo venne su la prima villa, poi via via ne costruirono altre il direttore della Dufour di Genova e il Procuratore del Re a Tortona. Gente bene, insomma. Per imitazione, Caldirola, e soprattutto la spianata attorno a La Gioia, cominciò a diventare un posto alla moda. Giù in paese anche Alessio Chiappano aprì un albergo e divenne Podestà del paese.
Il parroco di Gremiasco, monsignor Angelo Bassi, che con i suoi anni è diventato ormai la memoria storica della Val Curone, ricorda l'incredulità ma anche l'ammirazione con cui i valligiani commentavano quelle novità e le macchine che cominciavano a sfrecciare sotto i loro occhi dirette a Caldirola. "D'estate noi ragazzi eravamo sempre a sguazzare nel torrente", ricorda, "e quando vedevamo sfrecciare (si fa per dire) la Balilla rossa scoperta del Federale facevamo il saluto romano". Infatti anche il Federale fascista di Alessandria, Carlo Poggio, si era innamorato di Caldirola e vi costruì la sua villa. Poggio è stato un personaggio che ha fatto molto per questi luoghi, anche se poi il crollo del fascismo lo ha travolto in un immeritato oblìo.
L'albergo la Gioia in una foto degli anni trenta
Venne la guerra e questi posti diventarono rifugio per molti. I Raffo aiutarono alcuni prigionieri alleati che erano scappati dai campi (due riconoscimenti solenni delle autorità alleate testimoniano quei selvaggi) e nascosero perfino degli ebrei fuggiti quassù per salvarlsi: il dentista Lucacs di Tortona è rimasto qui per mesi ben protetto. Agostino venne perfino accusato di sentire di nascosto Radio Londra e fu arrestato per poco tempo.
LE SQUADRE IN RITIRO
Passata la bufera, l'albergo La Gioia diventa il centro di ritiro delle grandi squadre del tempo: l'Alessandria ma anche il Genoa e la Sampdoria. Giovani atleti, dirigenti, accompagnatori e curiosi animano la Val Curone e attirano a loro volta, come le mosche, tifosi e ammiratori. Si instaura un ciclo virtuoso di auto promozione della Valle, e di Caldirola soprattutto. Sono anche gli anni di Coppi e del suo amico, e anche Coppi porta il suo contributo alla promozione del posto: "Portava qui la famiglia per due o tre mesi", ricorda Edda, la figlia di Agostino "e poi lui saliva quassù ogni settimana con la sua bicicletta. Diceva che questa strada era l'ideale per i suoi allenamenti"… Calcio e ciclismo (i due unici sport che gli italiani veneravano) sembravano aver piantato qui il loro Olimpo. La televisione era ancora fantascienza e poter vedere un atleta di persona era un sogno che qui diventava realtà. Aggiunse acutamente Bassi: "E gli atleti di allora, come Coppi, erano gente qualsiasi, che si trovava più a suo agio in un albergo di paese che in un grand hotel".
Il paese scoppia di ospiti. "Quando vi andavano a dire messa", ricorda ancora don Bassi, "dovevo dirne tre in una mattina per poter soddisfare tutta quella gente. E anche i ristoranti si facevano tre turni per dar da mangiare a tutti". I Raffo fanno ponti d'oro a questo afflusso. Nel 1949-50 un nuovo ingrandimento porta La Gioia a 90 camere, tutte con bagno. Agostino costruisce anche una seggiovia (una novità assoluta per questa zona) che permette a tutti di arrivare in cima al monte Gropà. Sono gli anni in cui nevica ancora in abbondanza e Caldirola diventa la stazione sciistica più comoda per un raggio di centinaia di chilometri. Si costruiscono le quattro piste e 2 skilift. La figlia di Agostino, Edda, comincia ad affiancarsi al padre, poi si sposa a 21 anni con un atleta dell'Alessandria, Pino Bagliani, che così viene a sua volta trascinato nella stessa avventura.
La Gioia innevata gli inverni scorsi
IL CULMINE
Forse è qui che parabola raggiunge il culmine. Negli Anni Settanta, infatti, i costi di gestione cominciano a lievitare pericolosamente. Il marito di Edda, che frequenta le altre località turistiche, si accorge che molti grandi alberghi di montagna per uscire dalla morsa dei costi si stanno trasformando uno dopo l'altro in residence. "A noi sembrava una bestemmia", ricorda oggi Edda, "ma poi dovemmo convincerci". Così l'albergo diventa residence. Quasi in sincronia comincia il declino di Caldirola, e di un certo senso di tutta la valle, che intanto si è abbondantemente spopolata.
Impercettibilmente stava cambiando tutto il modo di fare le vacanze. Sono sparite le famiglie patriarcali che andavano "in villeggiatura" in blocco, dal nonno al nipotino; gli italiani ormai conoscono meglio il Mar Rosso che le loro colline, e inoltre le lunghe ferie (uno o due mesi filati) ormai un lontano ricordo. Prevale la vacanza mordi-fuggi, e non si sa più che cosa diavolo offrire ai vacanzieri per trattenerli: gli italiani sembrano mosche impazzite contro vento, ancora alla ricerca del modo di far passare un tempo libero che diventa sempre più abbondante. Commenta Edda Raffo: "Prima venivano intere famiglie e stavano qui interi mesi. Arrivano con i bauli come per un trasloco. E quando di fermavano soltanto per un mese, ci pareva che non facessero nemmeno le ferie". Adesso il weekend è l'unità di misura.
Con tutti questi scombussolamenti, il ristorante Gioia che aveva servito tutte queste persone famose o sconosciute, ormai vivacchiava e rischiava di chiudere. E' a questo punto che si inserisce nella vicenda Piero Bergaglio, che questi posti e questi personaggi li ha familiari fin da ragazzo e ne è innamorato. Bergaglio è un altro di quelli che "hanno le visioni" proprio come Agostino. Il termine non sempre irrispettoso: gli Americani lo usano correntemente per indicare i progetti di lungo respiro. Vi ricordate le celebre frase "I have a dream"? Una delle visioni di Bergaglio è appunto che la Val Curone possa diventare o ridiventare un posto da cui non sia più necessario fuggire altrove. Di questa visione fa parte anche la scommessa che sta facendo con il recupero del palazzone cinquecentesco che i principi Doria avevano in San Sebastiano e che i tanti successivi inquilini hanno rudemente intonacato e sventrato come una gruviera. Dovrebbe essere la sede di un Centro culturale moderno per i giovani della Valle. Una visione? Forse. Certamente un tentativo di fermare l'onda lunga dello spopolamento, se le risorse giovani della Valle daranno anche loro una mano.
Bergaglio, dicevamo, è innamorato di questi posti e, come ogni innamorato che si rispetti è poco sensibile agli aspetti economici che ogni vicenda umana comporta; perciò si è buttato a corpo morto anche in questa nuova scommessa: riportare almeno il ristorante Gioia ai fasti del passato. Così il locale è stato praticamente rifatto per rimetterlo alla pari con le esigenze della attuale normativa e per cambiarne il look: via i grandi pannelli di legno che si usavano una volta ma che facevano tanto grotta, una cucina che sembra un laboratorio, colori allegri dappertutto, spazio e comodità attorno ai tavoli.
Edda Raffo con il marito Pino Bagliani
A gestire il nuovo ristorante, Bergaglio ha chiamato due ragazzi che già si sono fatti le ossa in vari locali di buon nome: Manuel Gandini di Cervesina, 27 anni, e la sua compagna Luisella Marchesini, 26. Questa è la loro prima gestione alla grande e ce la metteranno tutta per dare buona prova. Manuel ha infilato nel nuovo, semplice menù anche alcuni piatti tipici dell'Alto Adige, che qui fra i nostri bricchi non faranno certamente stonature. Nuovi timidi segnali indicano intanto che anche il resto può cambiare: a fine giugno la quinta tappa del Giro d'Italia Downhill(in mountain bike) ha portato lassù migliaia di persone. E' una ulteriore dimostrazione che qualche colpo di fantasia (la stessa che usava il vecchio Agostino) può fermare la decadenza di questi posti e riportarli di nuovo in auge.
 

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